La Castagna Garessina, varietà di castagna tipica delle nostre zone, è conosciuta per la sua pezzatura medio-piccola, la buccia sottile e lucida e la polpa bianca e dolce, che la rende ideale sia per il consumo fresco che per la trasformazione.
Tradizionalmente viene utilizzata per preparare caldarroste, bollite, zuppe e dolci tipici.
Da sempre è un ingrediente fondamentale della cucina locale e rappresenta un’importante risorsa per l’economia agricola delle nostre valli.
Coltivata nel rispetto dei ritmi della montagna, la Castagna Garessina contribuisce a preservare la biodiversità e la sostenibilità ambientale.

I Custodi dei Castagneti delle Nostre Valli utilizzano ancora oggi i seccatoi originali, costruzioni dell’800 in pietra e legno, oggi ristrutturati, dove avviene il lungo processo di essiccazione della Castagna Garessina.


40 giorni di FUOCO, 40 giorni di FUMO, 40 giorni di MAGIA
Amore, Passione, Pazienza, Dedizione
è questa la ricetta segreta.

Hanno origini antiche legate alla tradizione contadina. Oggi simbolo di convivialità.
Spesso preparate durante le feste di paese, nelle classiche padelle forate sospese su grandi bracieri.

Potete prepararvele anche a casa vostra!
– Incidete la buccia: un taglio orizzontale sulla parte bombata, così non scoppiano!
– Cuocetele su fuoco vivo in una padella, ancora meglio se avete quella forata! O in alternativa anche su una griglia su brace ardente!
-Lasciatele riposare qualche minuto avvolte in un panno di stoffa, vi aiterà a sbucciarle meglio.

Di questa particolare ricetta ne parlano già gli scritti del 1553. Non era considerata come dolce ma come piatto di sostanza per recuperare le energie dopo una lunga giornata di lavoro.

Esistono molte versioni del castagnaccio: Toscana, Ligure, Piemontese, Romagnolo e Pugliese, ma le linee guida per questa preparazione sono le medesime in ogni zona.

FARINA DI CASTAGNE, ACQUA, OLIO di OLIVA,
ZUCCHERO ed un pizzico di SALE.

Amalgamare questi pochi ingredienti, fino ad ottenere un impasto piuttosto liquido da cuocere in forno, è la base a cui ogni tradizione ha aggiunto qualcosa di diverso!

La nostra versione Piemontese, vede una preparazione morbida e umida, un po’ più spessa dei classici 2 cm, arricchita con amaretti e mele, uvetta e pinoli e reso più corposo sostituendo l’acqua con il latte.

Una coccola invernale, cremosa, buona e genuina.
Un primo piatto che racchiude i sapori di montagna.
Un toccasana per le fredde giornate.
Un piacere per il palato.

Il mais è un cereale antichissimo, arrivato in Europa dalle Americhe nel 500, e diventato presto uno degli ingredienti base della cucina contadina.
Le sue pannocchie dorate, ricche di chicchi, vengono raccolte, essiccate e macinate per ottenere una farina rustica e profumata.

In montagna, il mais è alla base di piatti poveri ma sostanziosi, come la polenta.
La farina di mais, soprattutto se macinata a pietra, conserva un sapore intenso e una grana grossolana che racconta la semplicità della vita rurale.

È un alimento nutriente, naturalmente senza glutine, ricco di storia e ancora oggi protagonista delle tavole di tutti.

Il suo nome è dato proprio dalla disposizione dei chicchi sulla pannocchi: otto file regolari, grosse e ben distinte, dal colore giallo intenso, spesso con sfumature dorate o aranciate e dal gusto ricco.
E’ un mais antico che negli ultimi decenni, grazie alla riscoperta dei grani antichi, è stato rivalutato e tutelato da piccoli produttori e Presidi Slow Food.
Viene coltivato con cura poichè rappresenta un pezzo di storia agricola delle nostre valli.

Profumano di montagna e di casa.
Nascono da mani sapienti e da una ricetta antica, fatta di farina di mais macinata a pietra, burro fresco,
uova e zucchero
Senza fretta, come vuole la tradizione.
Friabili e sincere, raccontano storie di forni accesi nei giorni di festa, di nonne e merende d’infanzia.
Perfette da sole, indimenticabili con un sorso di vino dolce, intinte nel latte o con un buon caffè.

LA STORIA
Con il passare degli anni, la ricetta originale era stata profondamente alterata, fino a snaturarne il gusto e la qualità. Ma alla fine del 2000, Slow Food è intervenne inserendo questo dolce tra i Presìdi, e definendo insieme ad alcuni pasticceri locali un disciplinare di produzione basato sugli ingredienti storici e sul
metodo tradizionale.
Il cuore di questa ricetta è il mais Ottofile, una varietà autoctona coltivata in montagna senza concimi chimici né pesticidi. Il burro proviene da latte delle stalle del Monregalese, le uova fresche, da galline allevate a terra, e sono stati eliminati gli aromi artificiali, sostituiti da ingredienti naturali.
Le paste devono essere gialle, croccanti, solubili in bocca, con la granulosità della farina macinata a pietra ben percepibile.
Un prodotto che, grazie a una filiera corta e controllata, è tornato a essere antico e genuino

FARINA, BURRO, UOVA, ZUCCHERO, AROMI

Ecco le regole:
Più BURRO = Più FRIABILITA’
Può variare dal 30% al 70% del peso della farina.
Più ZUCCHERO = Più CROCCANTEZZA
Può variare dal 30% al 60% del peso della farina
UOVA: Intere o solo tuorlo?
Con solo il tuorlo si otterrà un impasto più FRIABILE.
Utilizzando anche gli albumi si otterrà un impasto più ELASTICO E CROCCANTE.

Come impastiamo?
METODO CLASSICO per una frolla COMPATTA
Si lavora il burro con lo zucchero. Si aggiunge un uovo alla volta e poi la farina e gli aromi.
METODO SABBIATO per una frolla FRIABILE
Si fa la classica fontana di farina, si aggiungono gli altri ingredienti e si impasta abbastanza velocemente fino ad ottenere un impasto omogeneo e non appiccicoso.

La farina di mais, cuoce lentamente nel paiolo in rame, sulla stufa a legna, mentre fuori cade la neve.
Mescolata con pazienza, sobbolle piano,
trasformandosi in dorata polenta,
morbida e profumata.
Sopra, una colata morbida di formaggi delle valli: stagionati, saporiti, profumati di erba e di malga.
Il tempo rallenta per assaporare il gusto.

Non è un vero grano, ma ne porta il nome come un ricordo antico.
Il grano saraceno è un dono umile e prezioso delle montagne, coltivato da secoli nei terreni più difficili, dove il frumento non arriva.
Con i suoi fiori bianchi come neve d’estate e i chicchi scuri, dalla forma triangolare, racconta una storia di resilienza e di ingegno contadino.

Ricco, rustico, profumato, il suo gusto deciso parla di mulini a pietra, di zuppe fumanti, di pani neri e saporiti.
È il cuore di piatti semplici e nutrienti, come la polenta Saracena, quella taragna e i pizzoccheri, ma sa anche farsi spazio in ricette moderne.

Il grano saraceno è montagna, è memoria, è forza.
Un piccolo seme che racchiude un mondo.

Hanno origini antiche legate alla tradizione contadina. Oggi simbolo di convivialità.
Spesso preparate durante le feste di paese, nelle classiche padelle forate sospese su grandi bracieri.

Potete prepararvele anche a casa vostra!
– Incidete la buccia: un taglio orizzontale sulla parte bombata, così non scoppiano!
– Cuocetele su fuoco vivo in una padella, ancora meglio se avete quella forata! O in alternativa anche su una griglia su brace ardente!
-Lasciatele riposare qualche minuto avvolte in un panno di stoffa, vi aiterà a sbucciarle meglio.

Non sono le classiche lasagne a cui pensate tutti: niente sfoglia all’uovo, besciamella o ragù. Le lasagne di Ormea sono piuttosto simili a dei maltagliati.

Tagliate irregolarmente con la rotella da una sfoglia di pasta preparata con farina di grano saraceno e acqua. Vengono poi bollite in acqua salata con le patate tagliate sottili e condite con i formaggi sciolti a bagnomaria oppure con il sugo di porri, funghi secchi e panna.


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